Intervista a Don Said

Don Said, rapper catanese classe ’99, ha pubblicato lo scorso Venerdì il suo primo album ufficiale, “Pain Party”. In occasione dell’uscita abbiamo scambiato una breve chiacchierata con lui sull’album, le sue sfaccettature artistiche e il suo background.

Chi segue la scena urban siciliana ti conosce bene. Durante la tua carriera hai lavorato con producer e rapper iconici dell’isola, hai sperimentato infiniti suoni e finalmente sei arrivato a “Pain Party”, un album che è un viaggio già dal titolo. Ti va di raccontarci come ha preso forma il progetto e se hai incontrato qualche difficoltà?
Il progetto ha preso forma crescendo quasi da solo, col tempo. Ho iniziato a lavorarci sul dal 2019, quindi è un disco figlio di un periodo lungo e che mi ha fatto crescere.

Il dualismo è un po’ l’anima dell’album. Si passa da beat classici come in “GOODFELLAS” a suoni decisamente più sperimentali come in “TOP MODEL”. Pain e party, dolore e divertimento che si fanno musica e che alla fine lasciano nell’ascoltatore un sentimento dolceamaro. Se c’è qualcosa che ho notato rispetto ai progetti precedenti è però più consapevolezza. Forse essere consapevoli che Don Said ha più facce, senza per forza doversi etichettare, ti ha permesso di maturare artisticamente?
Sicuramente sono sempre stato testardo su questo, non mi è mai piaciuto essere etichettato solo per un genere anche se, come è normale che sia, si è più conosciuti per alcune tracce che per altre.
Artisticamente voglio crescere sempre e penso che non pormi limiti mi possa aiutare molto.

Arden ha sapientemente curato “Pain Party”, e credo che più di tutti abbia saputo cogliere appieno ciò che sei in profondità. Credi che, artisticamente parlando, possa essere lui la tua metà?
Arden ha lavorato al disco praticamente dal giorno zero, senza di lui il disco non sarebbe lo stesso. A lui si sono aggiunti anche gli altri producers che hanno dato un apporto fondamentale e un tocco diverso ad ogni traccia. Credo che in questo disco tutto si completi in maniera naturale e omogenea.

Nel brano “PICCOLI” rappi “chissà se la Sicilia mi ha distrutto, giù è una giungla/ e non parlo di strada che quella non c’entra nulla” e mi vorrei aggrappare a questa barra per chiederti: quanto pensi ti abbia realmente influenzato la tua terra d’origine? Non solo da un punto di vista umano ma soprattutto artistico.
Catania è stata una madre molto severa, mi ha cresciuto presto ma le devo tanto. Ho vissuto la strada ma non in maniera violenta o criminale, sono stato abbastanza furbo da prenderne solo il meglio.

Anche se ormai vivi a Milano, la Sicilia si impone con forza in “Pain Party”. Penso a “PICCOLI”, con Don Pero, a “ESAGERATI” con Enzo Benz, a “I TUOI OCCHI” con Madbuddy, ed è come se la vecchia e la nuova scuola avessero deciso di unirsi nel tuo album. Sei contento di come stia crescendo la scena siciliana o provi una sorta di malinconia per il passato?
Sono orgogliosissimo di tutti gli artisti della scena siciliana. Siamo praticamente tutti amici e anche chi non lo era si è lasciato alle spalle tutti i beef inutili, l’importante è crescere. Nel disco c’è Catania ma ci sono anche Palermo e Siracusa. Per me era importante lanciare un messaggio di unione.

“CRACK HOUSE” è uno dei brani più intimi dell’album. È difficile mettere in rima eventi e sensazioni così personali. Pensi che “Pain Party” sia stato anche un mezzo che ti abbia permesso di superare le difficoltà di cui parli?
Assolutamente, scrivere un disco è terapeutico.

Non solo featuring italiani ma anche internazionali. Cosa ti ha spinto a collaborare con artisti come
Lil Kapow e Fely?

Sono due artisti con cui ho un buon rapporto da un sacco di tempo. Ho cominciato a scrivermi con lil kapow a marzo 2020 e da lì siamo rimasti sempre in contatto, Fely invece è praticamente un fratello. Dio benedica la diversità e la sperimentazione.

Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro da Don Said?
Come sempre, non conviene aspettarsi nulla, faccio sempre quello che la gente non si aspetta. E spesso anche quello che non mi aspetto io.

Intervista di Giordana Fichera.

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