Generation+ : Komsidedrilla

Il motivo che mi ha spinta a voler parlare con Komsidedrilla, oltre ad avere a che fare con il suo innegabile talento, è legato al fatto che in lui ho visto qualcosa di diverso. Quando abbiamo cominciato a chiacchierare, ho capito che le mie intuizioni non erano errate. Ha 24 anni, vive a Brescia nel quartiere di San Polo e in passato ha vissuto a Manchester: “a 19 anni ho deciso di
partire a Manchester, sono restato lì fino a 22 anni e ho fatto molti lavori, tra cui il cuoco. Sono partito con i ragazzi del mio quartiere ed è stata una bella esperienza. Sono tornato in Italia perché mio padre è venuto a mancare. Non potevo lasciare sola mia mamma, e quindi ho deciso di cambiare vita. È proprio in questo periodo che ho cominciato a fare musica.

In verità, mi racconta, faceva musica già da un bel po’, ma non aveva mai pensato di mettersi seriamente in gioco: quando si ritrova senza un padre accanto, la sua visione delle cose comincia a cambiare. “Mi piacerebbe che la musica diventasse un lavoro, ma adesso non è possibile. Però ci stiamo provando, qui a San Polo siamo un blocco, ci sono tanti ragazzi che vengono da disagi diversi, e la voglia di fare c’è. Io lo faccio per passione, ma se c’è da svoltarla allora voglio provarci, ma bisogna fare bene le cose, e bisogna investire.

Komsidedrilla ha avuto più di una proposta contrattuale, soprattutto dopo l’uscita del pezzo “Pull Up” per Real Talk Musik: nel 2019 il sound drill in Italia era praticamente inesistente. Se non il primo, è stato tra i primi a drillare, e questa novità non era passata inosservata, anzi aveva attirato l’attenzione di tanti personaggi del mondo della musica. Lui però non ci sta: “ho rifiutato perché non mi vedevo affine alla loro visione della musica. Io me la voglio vivere con la mia famiglia, con tutti quelli che mi aiutano, con i miei amici. Lì invece mi veniva detto che mi sarei dovuto allontanare da loro e collaborare con altri artisti, ed è una cosa che odio. Una collaborazione deve nascere se io e te ci conosciamo, non perché hai tante views e devo leccarti il culo. Piuttosto lavoro in fabbrica tutta la vita.

Rifiutando le prime proposte vede chiudersi tante porte, e comincia un po’ a demoralizzarsi. Non è facile andare avanti quando si è soli, senza una major che faccia tutto il lavoro sporco: un artista indipendente deve faticare dieci volte di più per essere notato, deve impiegare il triplo del tempo e delle risorse. Ma Gianmario (il suo vero nome, ndr) adesso è cambiato. Ci crede di più in questa musica, ha pure un piccolo studio nella sua stanza, e fiero mi mostra tutta la sua attrezzatura: “sono felice dei numerini fatti con la mia squadra, del reale supporto, dei complimenti che riceviamo. Non sono il tipo che chiede le collaborazioni su Instagram, ne ho di richieste di ragazzini che mi chiedono “quanto vuoi?” e mi sento male. Economicamente, magari, quei duecento euro mi farebbero bene, ma un ragazzino se li suda quei soldi, li chiede alla mamma, e non mi piace.

Gli chiedo poi di parlarmi del suo rapporto con la musica: mi spiega che ci sono volte in cui si perde ascoltando i beat, altre volte invece è nervoso e sui beat ci si sfoga. Che sia per rilassarsi, lasciarsi andare o raccontarsi, la musica è la costante che lo accompagna quotidianamente: “ho bozze che non toccherò mai. Quando scrivo della mia vita sono geloso: la musica allora diventa personale, qualcosa che non vendo. Se canto di soldi e puttanelle fai quello che vuoi, non è personale, ma la mia musica è intima, e non la voglio vendere, la voglio esporre. Voglio che dia qualcosa alla gente, che faccia capire che da una brutta situazione vissuta in precedenza può uscire il meglio. Nel mio passato ho fatto cazzate, e quando le racconto non lo faccio per dire che devono imitarmi, ma per dire che se ne hanno la possibilità non devono farlo”.

In una scena di rapper che non vuole avere nemmeno un briciolo di responsabilità, Komsi è un po’ la nota che stona, ma in senso positivo: sente su di sé un peso, e non vuole che la musica diventi stress, che promuova stili di vita che potrebbero distruggere chi è più fragile. Si racconta perché i ragazzi, ascoltandolo, possano capire che si può tirare fuori il meglio da sé, anche in mezzo a situazioni difficili. Ed è per questo che, quando mi riferisco a Komsidedrilla, mi piace dire: la drill sì,
ma con il cuore.
Mi racconta poi della sua esperienza in UK, dove ha avuto modo di vivere la vera drill e dove più di una volta si è trovato coinvolto in situazioni pericolose: “i blocchi inglesi sono brutti. I ragazzi sono molto esagerati, tirano fuori il coltello facilmente. Da una parte mi piace il fatto che sono reali, che nei pezzi mettono l’intimità, e la vivono così intensamente che se tocchi la loro musica la prendono sul personale. Però esagerano. Lì i giovani dai 14 ai 18 anni non sono tanto punibili, per cui fanno i crimini al posto di quelli grandi, e devi avere paura, si incattiviscono. Io sono stato accoltellato da dei somali a Manchester per una stronzata, ho ancora la cicatrice sulla coscia. Siamo entrati in un locale in centro e lì c’era una gang, legata allo spaccio, io avevo fumato con un mio amico e puzzavamo di erba, e loro pensavano che fossimo lì al locale a lavorare, allora capita la situazione abbiamo cercato di andare via, solo che mi hanno colpito, non a fondo ma potevo farmi male per niente.

E la drill in Italia? “A me piace fare drill in Italia perché non ammazzo nessuno, me la vivo come musica, gli inglesi come stile di vita. Un driller inglese non andrà mai a lavorare, invece qua ho più responsabilità, alla mia età non starei in strada a rovinarmi la vita per far andare la mia musica, voglio arrivare al successo in modo diverso.

È questo uno degli aspetti che più mi ha colpita: il suo voler arrivare in cima in maniera graduale senza fretta o scorciatoie. Non vuole diventare il burattino di qualche manager ed essere buttato nel cestino alla prima occasione. La vive più con il cuore: vuole lavorare sulla musica e creare un team fedele che abbia voglia di crescere. “Vorrei creare uno studio dove possano venire qua tutti i ragazzi che hanno voglia di fare e si impegnano, non quelli che parlano, distraggono, fumano e basta, ci sono tanti lazy nel rap game che non contano un cazzo. Voglio un team che abbia voglia di lavorare, crescere. È brutto che a San Polo ci siamo divisi perché insieme potremmo fare il culo a tanti. Abbiamo tanto da raccontare, ma finché continueremo a non cagarci non andrà niente bene. Io ho pensato un po’ a tutti e l’ho presa in culo, allora ho detto basta, devo pensare al mio di successo.

Cresciuto a San Polo, Komsidedrilla ha origini ghanesi: gli chiedo, allora, cosa ne pensa della scena afroitaliana. O meglio: se ne parla tanto, ma perché non riesce a ritagliarsi davvero un suo spazio? “La scena afroitaliana non è unita, ed è per questo che non va, tutti quelli che hanno cercato di unirla ci hanno perso e non guadagnato, quindi ormai secondo me uno dovrebbe sacrificarsi per unirla, ma è solo un sacrificio, perché qua chi è nero e va forte pensa solo al suo culo, anzi non ho mai visto un nero che quando sale chiama tutti gli altri neri sulla base, ed è una cosa brutta perché non fa crescere la scena. Per di più io volevo fare una roba del genere, però è da lì che ho detto basta. Dicono che i neri non hanno potere, ma se ogni nero che il potere ce l’ha, non collabora con altri neri o addirittura li scredita, ci perdiamo tutti.” E nomina poi ragazzi neri talentuosi con cui è anche in buoni rapporti: tra i tanti Abby6ix e Mboss, tra i pochi che sembrano voler includere tutti quanti. “Sai poi qual è il problema? Avere l’atteggiamento da vittima. Non dobbiamo partire dicendo siamo vittime, questa cosa ha stufato, io sono di Brescia e razzialmente nessuno mi ha mai mancato di rispetto, io sono nato qua, e nessuno della mia generazione mi ha detto qualcosa. L’Italia sta cambiando, sta diventando più aperta, è piena di ragazzi come me che sono un mix, ed è da punire ‘sta roba del nero che non piace. Anche perché se si crea un movimento, non lo si può ignorare, è anche business, capisci? Si può ignorare il singolo, non il movimento. Ed è un movimento che dovrebbe nascere, ma qui non ci caghiamo nemmeno tra neri”.

Lo ringrazio per il tempo dedicatomi e ci salutiamo. Komsidedrilla non è solo uno dei tanti che fa la drill: è un ragazzo sensibile che sogna una vita diversa, lontano dai disagi che è abituato a vivere. La musica non è solo business: è una speranza, è ciò che lo tiene in vita, ed è per questo che ci mette il cuore. Forse, anche troppo.

Articolo ed intervista di Giordana Fichera.

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