Intervista agli 'A67: "la speranza è in chi non si arrende"

Gli ‘A67 sono una band crossover rock napoletana che, a distanza di otto anni dall’ ultimo progetto Naples power, torna sulla scena con il disco Naples calling. Dodici pezzi, di cui otto in italiano e quattro in napoletano: un giusto equilibrio tra temi sociali e brani sentimentali con sonorità che spaziano dal rock al pop, dal rap all’elettronica, testimoniando la ricchezza e l’apertura artistica proprie della città di Napoli, da sempre crocevia di culture di ogni genere. Rapadvisor.it ha intervistato i membri del gruppo per chiedere loro curiosità legate all’album e non solo.

All’interno del booklet del vostro disco, Naples calling, troviamo alle prime pagine uno scritto, quello di Maurizio De Giovanni, noto scrittore e drammaturgo, autore tra l’altro de I bastardi di Pizzofalcone, che ha dato vita anche alla nota serie televisiva omonima. All’interno dello scritto si cerca di dare a una risposta ad un quesito, ovvero la città di Napoli a quale animale può assomigliare. Voi siete riusciti a dare una risposta a questa domanda?

Napoli è l’unico esemplare di una specie mai esistita. Un animale capace di vivere in equilibrio con tutte le contraddizioni di questa vita. E’ l’Inferno e il Paradiso abbracciati in un solo corpo.

Sempre nello scritto di De Giovanni si parla di una città che cambia pelle, in maniera talvolta anche casuale. Nella vostra musica si respira tanto di Napoli, che è la vostra città. Secondo voi come sta cambiando questo grande animale?

Napoli è una città che non si ferma mai, essendo una città di porto ha da sempre accolto tutto ciò che arriva da fuori, assorbendo fuori, culture, storie per poi farle proprie e risputarle con una nuova identità che è un mix di ciò che è arrivato e della propria tradizione. Una città in bilico tra sacro e profano, innovazione e tradizione.

Il videoclip di Naples calling è un cartone animato. Il personaggio è un ragazzo, che sul finale si scoprirà essere Pulcinella, che parte dalle vele di Scampia, simbolo di una Napoli sconfitta, fino ad arrivare a Piazza Del Mercato, correndo per i vicoli di una città tetra, buia, oscura, popolata da zombie tecnologici, nell’indifferenza di una città in fiamme. A Piazza Del Mercato però, succede qualcosa: Pulcinella decide di darsi fuoco, sotto gli occhi virtuali dei cellulari puntati su di lui, intenti a immortalare la scena. Solo dopo questa scena, compare una Napoli splendente, solare, rappresentata con la classica immagine del golfo e del Vesuvio, quasi come a voler riprendere la mitologica storia della fenice, costretta prima a prendere fuoco per rinascere dalle proprie ceneri. Pensate veramente che alla città di Napoli serva un gesto così estremo per sopravvivere a sé stessa e ricominciare da capo quando chiama aiuto e nessuno la sente?

Napoli è la metafora dell’Italia, un laboratorio continuo in cui ciò che accade si ripropone spesso a livello nazionale. Amiamo profondamente la nostra città e per questo spesso la raccontiamo anche in modo feroce proprio come Pino Daniele che la paragonò a una carta sporca. Vorremmo che diventasse una città normale dove i servizi e le infrastrutture di base funzionassero, dove ci fosse lavoro ecc., ma spesso noi napoletani ci autoassolviamo diventando parte del problema, da qui la voglia di svegliare la coscienza del nostro popolo.

Di seguito il videoclip del videoclip di Naples calling:

Pulcinella come Jan Palach, simbolo della Primavera di Praga, che decise di immolarsi, insieme a quattro compagni, per contrastare la potenza sovietica nella sua nazione, o ancora come Sahar Khodayari, condannata al carcere dalla magistratura della repubblica iraniana per essere entrata illegalmente in uno stadio di calcio. Di esempi però non finirebbero qui. Tre nomi, tre personaggi, tre storie diverse, con lo stesso epilogo: un suicidio tra le fiamme. Dire che all’interno del videoclip di Naples calling la maschera di Pulcinella si carica di una voglia di far risvegliare le coscienze delle masse è sbagliato? E pensate che il vostro Pulcinella sia riuscito nel suo intento, qualunque esso sia? Diteci la vostra.

Noi cerchiamo di fare la nostra parte con le armi improprie: voce, chitarra, basso e batteria. L’arte ha il compito di smuovere emozioni e coscienze ed è quello che abbiamo sempre cercato di fare con la nostra musica, non sappiamo se il nostro Pulcinella riuscirà nel suo intento, ma una cosa è certa: c’ha provato.

Due nomi: i Clash e Pino Daniele. I primi uno dei gruppi rock più importanti di tutti i tempi, autori del disco London calling, che proprio il 14 Dicembre 2019 ha festeggiato i 40 anni di uscita, e al quale vi siete ispirati per il titolo del vostro disco; il secondo il più grande cantautore napoletano di tutti i tempi, che ha saputo raccontare tramite la sua penna le gioie e i dolori della sua città, Napoli dai mille colori, e al contempo una carta sporca, e che ha saputo inglobare nella sua musica, così come i Clash, sonorità tra le più varie. Anche il vostro nasce come progetto crossover rock, che riesce ad inglobare generi come il pop, il rap, anche musica elettronica. Oltre ai Clash e Pino Daniele, quali sono le figure musicali che di più vi hanno ispirato durante la realizzazione di questo lp?

Essendo una band abbiamo sempre avuto un background molto variegato, ognuno di noi viene da storie e percorsi differenti e abbiamo sempre vissuto tutto questo come una grande ricchezza. Abbiamo sempre amato la musica elettronica ma ha trovato poco spazio nelle precedenti produzioni per questo disco abbiamo scelto uno dei maggiori produttori di musica elettronica, Massimo D’Ambra, e ci siamo confrontati con sonorità che non avevamo mai esplorato. E siamo felici del risultato. Tra i gruppi e gli artisti che sicuramente amiamo ci sono i Depeche Mode, Trentemoller, Kendrick Lamar, Pharrell, Daft Punk solo per citarne alcuni.

In Viola, uno dei pezzi d’amore più belli del progetto, ponete all’apertura la seguente frase, che troviamo anche nel ritornello: “amami ora che non lo merito / perché è proprio ora che ne ho bisogno”. Ricevere amore da qualcuno anche quando non lo meritiamo spesso può essere non poco terapeutico, e questa frase ha un peso non trascurabile. Napoli, purtroppo, non è solo pizza, sole e mandolino, ma si nasconde tanto tanto altro di oscuro tra i suoi vicoli. Trascurarla e smettere di amarla però non è la soluzione migliore, tutt’altro: prendersi cura per farla migliorare e rinascere è l’unica cosa che può veramente salvarla. Seppur il pezzo non parli di ciò, questa frase può essere letta come un grido di aiuto da parte della città di Napoli?

Assolutamente e mi piace la traslazione… Quelle parole citano dei versi di duemila anni fa, quelli di una meravigliosa poesia del poeta romano Catullo. Versi d’amore che possiamo rivolgere a chiunque, perché l’amore non conosce sesso, razza e genere.

Brava gente, in featuring con Frankie Hi-Nrg Mc, racconta uno scenario: tutti colpevoli di qualcosa uguale nessun colpevole. C’è sempre qualcuno che commette uno sbaglio e qualcun altro che lo subisce. Come mai allora non si trova mai il coraggio di cambiare questo stato di malgoverno?

Bella domanda, forse perché come diciamo ne Il male minore, se ci pensi bene in fondo ci conviene.

In Il male minore, invece, ponete l’ascoltatore di fronte al fatto compiuto che oggigiorno, purtroppo, si è smesso di andare di andare a votare per l’alternativa migliore, ma per quella meno peggiore: anche quello più incorruttibile non è immune dalla corruzione. Secondo voi, c’è ancora qualcosa da salvare in questo momento storico dal punto di vista socio-politico? Se sì, cosa?

Da salvare c’è chi non si arrende a questo stato di cose e penso a chi ogni giorno lotta per la propria terra, per i propri diritti, per i propri figli e nipoti. L’unica speranza risiede in chi ancora non si arrende alla merda che ci circonda.

Per il disco vi siete avvalsi della preziosa collaborazione di Max D’Ambra, un nome di spicco della scena musicale partenopea, ma non solo. Come è stato lavorare tutto il disco insieme a lui?

A parte Il male minore, prodotto da Gigi Canu dei Planet Funk, il disco l’ha realizzato appunto Max, un incontro umano e musicale bellissimo che ci ha arricchito tantissimo, lavorare con lui è stato naturale e bellissimo.

Il disco è bipartito: le prime otto tracce sono cantate in italiano, le ultime quattro in napoletano. Quattro featuring in totale: Frankie Hi-Nrg Mc, Caparezza, due tra le penne più importanti del panorama rap italiano, Franco Ricciardi e Dario Sansone, voce dei Foja, questi ultimi due strettamente legati al suono napoletano. Come sono nati questi featuring?

Come tutti i nostri featuring nascono da una profonda stima reciproca, la parola feat è troppo fredda per raccontare le nostre collaborazioni che non nascono mai a tavolino ma da una visione del mondo che ci accomuna alle persone che scegliamo. Con loro condividiamo un percorso che spesso va oltre la traccia musicale.

Nel disco c’è un giusto equilibrio: si divide bene tra temi a sfondo sociale e temi più leggeri e legati alla sfera sentimentale. Come mai questa scelta?

E’ successo tutto in modo naturale, i temi da trattare come spesso accade si impongono come urgenze.

Nella vostra discografia c’è un vuoto produttivo che dura dal 2012 ad oggi. Se dal 2005 al 2012 avete sfornato sette progetti tra lp ed ep, da 2012 non avete proferito parola. Come mai questo lungo periodo di silenzio?

Abbiamo sempre fatto dischi quando avevamo qualcosa da dire e in questo caso volendo rivoluzionare linguaggio e sound ci siamo presi tutto il tempo che ci serviva.

Adesso che il disco è uscito, come lo porterete in giro? Che progetti avete per il futuro?

La prima tappa live sarà il 7 Marzo all’Ex Opg di Napoli, poi seguiranno le principali città italiane per poi andare in tour in Estate. L’idea è quella di mettere insieme il suono elettrico di questo disco con chitarra, basso e batteria.

Intervista di Amedeo Tavolozza.

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