Intervista al Bnkr44: dentro a “Fuoristrada”

Negli ultimi anni la musica italiana ha imboccato una via ben precisa, una strada di quelle così affollate da creare code immense dove ognuno aspetta ansiosamente il proprio momento. E così forse conviene svoltare, andare “Fuoristrada”, tracciare qualcosa di nuovo proprio come ha fatto il Bnkr44 con l’ultimo progetto rilasciato venerdì scorso.

Il collettivo empolese è tornato a più di un anno di distanza da “Farsi male a noi va bene” con un disco che per la prima volta li presenta come un gruppo coeso e versatile, in cui le liriche e le sonorità delle loro personalità si sono fuse in una cosa sola.

Per conoscere meglio i retroscena di uno dei progetti più interessanti nel panorama italiano che sta lasciando il segno nel urban moderno abbiamo avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con Piccolo, Erin e Caph, tre dei componenti del collettivo.

Ciao ragazzi! Ci siamo lasciati l’anno scorso al MI AMI festival e ci ritroviamo oggi dopo l’uscita del vostro nuovo album “Fuoristrada”. Raccontatemi un po’ da dove nasce il disco.

Erin: Il disco è nato abbastanza velocemente e, se non per due sessioni isolate, ci abbiamo lavorato da Settembre a Gennaio per la stesura dei pezzi. Poi c’è stato un grande lavoro grafico, di mix & master di tutto ciò che lo circonda.

Piccolo: C’era la volontà di fare un disco nuovo ma che suonasse diversamente da quello precedente, un po’ meno “pettinato” e più sperimentale.

Caph: Si, poi si può dire che è nato dall’amore di sei ragazzi (ride, ndr.).

Sia i video ufficiali che le grafiche del disco, oltre al nome abbastanza esplicativo, rimandano al mondo stradale e dell’automobilismo. Da dov’è nato questo concept?

Erin: Abbiamo deciso di inserirlo dopo aver registrato il primo pezzo del disco, che inoltre è il primo in tracklist, “Cambiare non posso”. Nel brano non parliamo di strada, né di macchine ma la canzone ci dava questo immaginario. Inizialmente volevamo farla uscire come singolo a Settembre dell’anno scorso e, pensando al video, ci venivano in mente immagini stile rally piene di polvere, strada e deserto. Da lì il concept ha iniziato a prendere piede e abbiamo così deciso di mantenerlo per tutto il disco.

“44.DELUXE” era figlio del vostro percorso di SoundCloud e si sentiva peccasse di un concept vero e proprio mentre in “Farsi male a noi va bene” ancora mancava quella sinergia che si percepisce ora nel nuovo disco. Da un insieme di personalità singole dello stesso collettivo ora sembrate aver raggiunto una coesione tale da rendere il disco più scorrevole e unito. A dimostrazione di ciò, mentre prima i pezzi erano il racconto di uno o due di voi e solo nelle tracce di chiusura potevamo sentirvi insieme, ora in ogni brano è un susseguirsi di voci e mood. Com’è cambiato il vostro approccio in studio in questi anni?

Piccolo: Direi che si è evoluto nettamente.

Erin: Pensa che in “44.DELUXE” non eravamo neanche tutti ma solamente noi tre (Erin, Piccolo, Caph) e così abbiamo deciso di aggiungere Faster e Fares in due tracce ma che sembrano più delle guest. Da lì al punto in cui siamo arrivati ora è cambiato veramente tanto, abbiamo passato tanto tempo insieme, sia in studio che solo semplicemente ascoltando musica insieme e così ci siamo uniti sempre di più.

Piccolo: Quando abbiamo fatto “44.DELUXE” non pensavamo di uscire con un disco da collettivo mentre con “Farsi male a noi va bene” e “Fuoristrada” siamo andati più in quella direzione.

Erin: Secondo me in realtà in “Farsi male a noi va bene” risultava ancora che fossimo tante personalità separate unite nei pezzi, mentre qui è come se si fossero fuse.

Nel mercato di oggi è quasi scontato aspettarsi di vedere una tracklist piena di collaborazioni e di nomi illustri che possano attirare l’attenzione anche dell’ascoltatore occasionale e dare risalto al progetto. Il vostro disco, invece, si staglia nella miriade di dischi odierni anche per l’assenza di featuring. Come mai avete preso questa scelta che, purtroppo, sembra quasi essere “controcorrente”?

Erin: Secondo me i feat possono essere una cosa molto figa e positiva e, per chi li riesce a usare bene, diventa un plus al disco.

Caph: Il feat è anche un rischio sai. Se ti metti a fare un album che a metà stai affidando a qualcun altro allora non funziona. Noi siamo stati molto più semplici: questo è il nostro sound, il nostro viaggio.

Piccolo: Secondo me in questo disco abbiamo raggiunto per la prima volta un equilibrio da collettivo e ci sembrava quasi sbagliato “sporcarlo” con un featuring. Volevamo passasse il messaggio che nei pezzi siamo noi in pieno.

Erin: Forse questa scelta andrà a discapito del disco stesso, alla fine di opportunità di inserire delle belle collaborazioni ce ne sono state. Ci sta che ad oggi la gente pensi a inserire un bel numero di collaborazioni in modo che i dischi vadano bene ma così si sta facendo del marketing e non della musica.

Piccolo: Sarebbe figo un giorno uscire con un progetto che punta proprio alla collaborazione, visto anche che abbracciamo tutti i generi che ci sono in Italia.

Gli unici nomi esterni al collettivo sono nelle produzioni dove si sono aggiunti al progetto Jvli, Swann e soprattutto Sick Luke. Com’è stato lavorare con un artista come lui?

Erin: Con Luke è stato veramente semplice. Gli altri hanno fatto molte sessioni con lui, oltre a quelle in cui sono nati il pezzo con Tananai (“Domani ti chiamo”, ndr.) e “Scritto per te”, e così son diventati culo e camicia.

Piccolo: Luke è veramente entrato nel disco in maniera genuina, siamo andati lì per chiudere il suo pezzo quando poi nell’ultima mezz’ora è uscito fuori il ritornello e da lì tutto il brano.

Pensate che, grazie anche a questo disco, stiate tracciando un nuova strada per la musica italiana? Un percorso “Fuoristrada” rispetto al mercato di oggi?

Piccolo: Secondo me già parlando con la gente ci rendiamo conto che lo stiamo facendo quando ci chiedono: “Minchia ma quanti siete?”, “Ma che genere fate?”. Mi sembra di sì. Magari stiamo veramente tracciando una nuova strada fuoristrada.

Caph: Sarebbe bellissimo. Noi spingiamo a fare il “nostro” in una maniera così “nostra” che portiamo gli altri a fare il “loro” nel modo migliore possibile.

Piccolo: Il messaggio che vogliamo dare alla fine è proprio questo: essere sé stessi. Vedo un sacco di artisti che conosciamo aver ripreso qualcosa dal nostro stile, ci rispettano. Per esempio Pyrex dopo averci conosciuti penso abbia veramente capito cosa volesse fare da solista. Se devo dirti in maniera secca sì, lo stiamo facendo.

Erin: Proviamo sia volontariamente che involontariamente a differenziarci dagli altri e, essendo così tanti, viene sempre qualcosa di particolare alla fine.

Caph: Speriamo di non suonare mai uguale, di non sembrare sempre la stessa cosa. Il fatto che non ti aspetti mai cosa possiamo star facendo è una buona cosa.

Piccolo: Per me lo scopriremo solo alla fine, quando daranno il nome alla via.

Caph: Solo quando avremo smesso lo sapremo.

Piccolo: Magari diranno “Loro facevano questo”. Magari ciò che stiamo facendo prenderà un nome e sarà quello della nuova strada che abbiamo marcato.

Il disco incarna la situazione odierna delle nuove generazioni intrappolate nella paura di sbagliare, di seguire la propria strada e cerca di trasmettere la fiducia necessaria all’ascoltatore per affrontare le difficoltà e proseguire alla ricerca dei propri sogni. Pensate che senza il gruppo avreste avuto più difficolta per arrivare dove siete oggi?

Erin: Assolutamente si, 100%.

Caph: Il contesto in cui siamo ci ha portato a essere un gruppo molto affiatato, siamo come fratelli. Siamo amici, frequentiamo il solito posto, usciamo insieme e abbiamo una volontà di fondo di farcela insieme.
Erin: Da soli magari non tutti avremmo avuto la forza di andare avanti, di continuare dritto per la nostra strada.

Proprio ieri vi siete esibiti su un palco importantissimo come quello del concertone del Primo Maggio. Com’è stato? L’avete trovato diverso dall’esperienza di Sanremo?

Erin: Secondo me tra Roma e Sanremo c’è stata tanta differenza.

Caph: Sanremo è stato molto peggio anche se ce la siamo vissuta. Il Primo Maggio è stata la conseguenza del festival quindi penso che senza aver fatto quello prima ci saremmo vissuti questa esperienza in modo ben diverso. Già al palco che gira ci saremmo spaventati (ride, ndr.).

Piccolo: Secondo me la differenza sostanziale delle due cose è che a Sanremo abbiamo portato qualcosa di non nostro perché alla fine eravamo ospiti con una cover.

Caph: Si, dovevamo trovare un compromesso.

Piccolo: Ieri invece ci siamo presentati con due nostri pezzi, con la nostra fotta. E niente, questo è il BNKR44. Mi son divertito molto di più ieri perché eravamo proprio noi.

Erin: Ma poi l’esibizione al festival è stata un lampo, quasi che non ci siamo accorti di esser stati sul palco.

Se aveste davanti a voi un ragazzo che sta iniziando a intraprendere la strada della musica, cosa gli direste? 

Caph: Fai quello che ti senti, quello in cui credi. Tanto rinnegherai sempre la musica fatta in passato quindi non ti preoccupare nello sbagliare. Tutto ciò che farai sarà sempre migliore se fatto con costanza e perseveranza.

Piccolo: Fallo per esprimerti.

Erin: Non porti come obiettivo il successo ma fallo per te stesso.

Piccolo: Quella roba lì non la decidi te, non decidi te se sarai primo in classifica su Spotify. Cerca di capire quali sono i tuoi obiettivi: un conto è voler esser il primo nei numeri, un altro è quello di volere ai concerti migliaia di persone gasate sotto al palco. All’inizio io volevo solo esprimermi perché se non scrivo sto male. Ti direi che “Sei nato per farlo”, anche perché una volta qualcuno me lo disse e mi fece davvero bene.

Intervista di Alberto Rogano.

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