Intervista a Jesse the Maestro

In occasione dell’uscita del brano “Non ho cash, di notte sogno Marra”, Jesse The Maestro si è raccontato in una profonda intervista in cui, insieme alla musica, si intrecciano i temi e i luoghi che l’hanno reso libero e ribelle. Palermo non è solo la sua città, è dove ha imparato ad essere uomo: è lo sfondo di vicende da cui ne è uscito integro grazie alla musica, strumento che vuole utilizzare per diffondere il suo messaggio al mondo.

Non ho cash, di notte sogno Marra sta avendo molto successo, in poche settimane ha già superato il mezzo milione di visualizzazioni. Sei un artista indipendente, non hai grandi majors dietro che ti spingono. Come stai vivendo questo traguardo, se per te è un traguardo? E soprattutto te lo aspettavi?
Non me l’aspettavo perché quando sei indipendente rilasci musica perché ti piace farla, non perché devi raggiungere un risultato. Penso di aver fatto canzoni che meritano più views di questa, però il brano ha un fascino e bisogna parlarne. Come lo vivo? Lo vivo un po’ come della serie… dovevo citare altri rapper per avere attenzioni. Non la vedo come “oh, finalmente”, perché ripeto penso di aver fatto canzoni più belle che non hanno avuto la stessa risonanza. Sono contento ma non sono totalmente soddisfatto. Non guardo ai numeri, il mio obiettivo è più grande, però bless, è comunque una bella cosa.

Hai parlato di essere indipendenti, io tempo fa ci sono rimasto male perché alcune case discografiche mi hanno detto “sei un personaggio un po’ così…” e un anno fa in un post ho scritto “avete scatenato un uragano”. Quindi ora sono nella modalità “mettila nel culo all’industria”, e non voglio farlo tramite hype o cose extra-musicali. La mia peculiarità più forte è la musica, mi sono stancato di essere visto come quello della white face. Voglio essere conosciuto come quello forte.

Quello che ho capito è che, metaforicamente, quando qualcuno ti dà uno schiaffo tu reagisci anche peggio. Anche perché prima dell’uscita del brano c’è stato un episodio particolare riguardante il sample della voce di Madame. L’avete rincorsa per avere l’autorizzazione, non avete ricevuto una risposta ma avete comunque deciso di pubblicare il brano, che alla fine ha avuto successo.
Funziona così da dove vengo, io l’ho applicato anche alla musica. Se uno ti dà una botta tu devi rispondere. Prima ti ho detto che non me l’aspettavo che il pezzo avrebbe avuto successo, ora ripensandoci ti dico sì, ecco perché ho insistito a rilasciarlo. Io ho utilizzato il sample di Madame solo per due secondi, anche lei ha campionato un’altra canzone. Poi tante persone non si sono accorte che ho iniziato il brano dicendo “no, non chiedere”, come se continuassi il pezzo di Madame che dice “baby come sto, non chiedere”, e poi continuo dicendo “ascolta questo flow e non ti chiedere” perché molti diranno “ah ma questa è Madame”, e quello che volevo dire io è “zitto e ascolta”, poi un po’ ci sono rimasto perché mi hanno snobbato, forse perché quando sei indipendente è diverso, devi lasciare parlare la musica.

Sono contento di essere indipendente perché non sono un artista fatto per le label, ho visto molte persone prenderla nel culo e non voglio fare i loro errori. Quindi invito anche gli altri rapper ad essere indipendenti. Certo è un percorso più lento, ma molto più piacevole a lungo termine. Spesso mi dicono di salire a Milano, potrebbe essere una scorciatoia ma intanto voglio essere una leggenda qui in Sicilia. Palermo ha avuto tanti esponenti che però non sono stati riconosciuti dalla città. Io voglio fare tutto da qui. L’ho imparato anche grazie a Johnny Marsiglia che per me è il goat di Palermo. Due anni fa gli chiedevo consigli e lui mi ha detto “tu hai un percorso diverso dal mio. Puoi portare Palermo dove io non sono riuscito a portarla”. Quindi poi ho deciso di restare qui nella mia città, senza case discografiche, e da una parte ho avuto sicuramente le spalle al muro. Ma la mia passione è troppo forte e ho cercato un modo per farcela. Spesso le persone che se ne sono andate via da qua dicono “la tua musica mi ricorda la Sicilia”, ed è questo il mio obiettivo, farcela da qui.

Quindi in questo momento, e a questo punto anche nel futuro, chiudi la porta alle grandi labels?
Ti dico la verità, ho avuto delle proposte, ma non sono offerte valide per me. Molti artisti non leggono i contratti che firmano. Io ho apprezzato tanto la mossa di Rondodasosa perché lui ha fatto molto da solo ed è arrivato al punto in cui erano le labels ad aver bisogno di lui, non il contrario.

Sono sicuro che il 60% dei rapper avrebbe accettato le offerte che ho ricevuto io, ma io no e non solo per un fattore creativo ma anche economico, le majors non rispettano tanto gli artisti. Quindi io apro le porte a una grande label se il contratto mi rispetta.

Mi hai parlato di rapper di Palermo, della Sicilia, e se ci pensiamo ce ne sono tantissimi che vengono dalla nostra terra. Spesso, però, mi è capitato di scoprirlo solo dopo che questi artisti provenivano dalla Sicilia. Magari prima bisognava scendere a compromessi, non solo spostarsi fisicamente ma anche nascondere la propria sicilianità. Fino a qualche anno fa quello che rappava in siciliano non era ben visto. Ora però si sta verificando un cambiamento e credo sia anche questo a differenziarti, usi molto spesso il siciliano.
Il fatto è che un po’ il siciliano si è rotto la minchia di sminuirsi. Non è una cosa solo musicale ma anche sociale. È una generazione che vuole una rivalsa. Siamo stati messi all’ombra per troppo tempo, anche le nostre leggende sono state messe all’ombra. Per quel che mi riguarda lo faccio perché innanzitutto parlo così, e prima che lo facessi io erano in pochi a farlo, uno dei pochi a renderlo figo è stato L’Elfo, però gli altri venivano visti “tasci”. Io l’ho presa poi come una sfida. Se il mio obiettivo è essere una leggenda qui, devo parlare come le mie persone, non devo fare l’accento milanese e dire zio, devo dire cuscì.
Il siciliano come persona piano piano sta capendo le sue potenzialità, e sono felice di essere non dico uno dei pionieri ma un pezzo importante di questo cambiamento. Qua molti hanno cominciato a rappare in dialetto dopo l’uscita di Takeshi’s Castle, che magari nel resto d’Italia non è andato virale, ma ti posso assicurare che qua sì. Anche il fatto di vedere su Real Talk una canzone in dialetto ha fatto capire ai siciliani che ce la possono fare.
In Sicilia, tra l’altro, la credibilità ha un valore enorme, non puoi fare come in altre parti d’Italia dove rapper che raccontano esperienze che non hanno vissuto sono riusciti ad andare avanti. In Sicilia devi essere credibile, non puoi essere “pinnolone”. Io non dico che nella musica devi essere sempre real, perché puoi essere un pinnolone e fare comunque buona musica, però qua non funziona così.
I rapper generalmente o sono forti liricamente o sono gangsta, non si può essere entrambi. Forse quando abbiamo avuto rapper sia forti liricamente e non pinnoloni non è stato dato loro credito. Però poi sono arrivati quelli come me e L’Elfo che sono riusciti a far combaciare le cose. Io penso di essere forte liricamente, però riconosco che magari un Johnny Marsiglia è più forte. Lui era il miglior rapper in circolazione ma l’Italia non gli ha dato i giusti meriti. Comunque, big up a L’Elfo.

Per come vivo io la musica, quello che colpisce non è tanto la tecnica, che comunque ha una sua importanza, ma quanto l’artista riesce a trasmettere.
Questa è una cosa stra-vera. Faccio un esempio, Tupac non era il più forte liricamente, ci sono cinquanta rapper più forti di lui, ma loro non sono Tupac. Puoi essere quindi un Logic che fa mille parole in un minuto, ma se non arrivi al cuore delle persone non ha valore. Quindi Jesse magari tecnicamente non sarà il miglior rapper, ma resta comunque il miglior rapper d’Italia. Io racconto la mia storia come se fosse un diario, non sempre sono fiero di quello che dico ma sono contento di esserne uscito. Per essere un rapper forte puoi scrivere quanto vuoi, ma devi raccontare la tua vita, ogni soggetto ne ha una propria e unica. Da una parte mi sento fortunato ad aver avuto la mia vita che si ricollega a quella di tanti altri siciliani. Io non dovrei nemmeno essere qua in Italia, per motivi X però sono qui e le mie canzoni di successo sono soprattutto quelle dove nei testi parlo di ciò che ho vissuto. Ogni cosa è un piano di Dio, ma è difficile pensarlo quando vivi quel momento.

La particolarità del video di Non ho cash, di notte sogno Marra è che è diviso in due parti: da un lato c’è il brano, c’è Jesse The Maestro, dall’altro non c’è Jesse The Maestro ma Jesse e basta, la persona.
Questo video l’ho fatto tanti mesi fa, quando vivevo quella situazione, e l’ho fatto perché per me è motivazionale. Mi sono mostrato così e non è figo mostrare certe realtà. Io l’ho raccontata senza vergognarmi, perché l’ho fatto? È una scommessa, non sai come lo recepirà il pubblico. Dire che dormi con il materasso a terra, non sai come andrà. Ma ero arrivato ad un punto in cui mi sono detto che dovevo raccontare la mia vita. Se io non avessi vissuto quella situazione non avrei potuto fare quel video, dove l’autenticità è alta. Adesso ce l’ho il letto, ma in quel momento la mia vita era quella.
Io invito tutti i rapper ad essere più autentici, perché la storia che pensate sia poco appetibile al pubblico hip-hop in verità è quella che lascia un segno.

A tal proposito nel pezzo mi aveva colpita questa barra: “ringrazio il mio passato perché mi istiga a non fare il fake e a raccontar la verità/ a fare sempre di più e a innalzare le abilità”.
Io voglio che le persone comincino ad ascoltare la mia musica come se fosse un diario. Jesse sta là, si fuma un cannone, scrive, è un diario, dico la verità. Il mio passato mi ha istigato ad essere in quelle quattro mura e a raccontare la mia vita. Innalzare le abilità perché sono partito da rapper inglese e mi dubitavano, quindi innalzo le mie abilità così stai zitto, infatti dico “capisti cuscì picchì ci rumpu u culu a tutti sti cca?”. Io sono un credente del: “lavora duro e migliori”, mentalità Kobe Bryant, mentalità Cristiano Ronaldo. Se ogni giorno scrivi, fai freestyle, vivi una certa vita ovviamente migliori.
A volte la vita ti pone davanti delle situazioni e ti dice “puoi stare lì a piangere o puoi utilizzare questo momento per qualcosa di grande”. Quindi vuoi piangere o vuoi alzarti e far diventare positiva quella cosa negativa? Il mio passato mi ha mostrato una certa realtà, ma non ho pianto anzi sono diventato più forte.

Io vivo il rap principalmente come ascoltatrice, e noto un’ossessione per l’essere real. Quello che però vedo e che percepisco soprattutto nei video non è realness, io mi ritrovo a guardare dei set cinematografici, e magari all’ascoltatore medio va bene, mentre ho apprezzato il video di Non ho cash, di notte sogno Marra perché viene mostrata una realtà non cinematografica ma comune a tante persone.
Per me il concetto di real è questo. Molti in Italia usano questo termine ma magari non sanno la definizione. Real vuol dire vero, punto. Se sei figlio di papà, lavori e torni a casa, sei real se nella tua canzone racconti questo. Io il video l’ho girato con un iPhone, è la mia vita, non c’è l’artefatto. In Italia si sono fatti influenzare dagli stereotipi americani e inglesi. A Londra mettono la giacca perché fa freddo, qua perché è la moda. Perché devi emulare la persona all’estero? Molti si fanno i rasta, i dread, ma perché? Lasciando stare la cultura giamaicana, molti l’hanno fatto perché c’è stata l’era di Chicago, la Chicago drill, ed era figo, ma se copi non sei credibile. Perché ti fai le treccine? All’estero l’hanno fatto per un motivo che magari è pure stupido ma ha un senso, io ho questi capelli per sopravvivenza, perché se non li pettino diventano così, tutto qui. In Italia ci sono tante realtà che meritano di essere raccontate, ma l’italiano non ne comprende il potenziale e preferisce copiare dall’estero.
Non lo capisce l’italiano, pensa il siciliano nello specifico.
E secondo te perché?
Secondo me perché è stato sminuito per tantissimo tempo e alla fine ha cominciato a credere a quello che gli veniva detto. Prima facevamo il discorso che per essere ben visto devi parlare in un certo modo. Però se un milanese, ad esempio, parla con lo slang o con l’accento del posto è figo, se lo fa un siciliano invece fa ridere. Ma perché fa ridere?
Il siciliano è stato sminuito dal resto d’Italia, non dal resto del mondo. La rivalità nord-sud esiste in Italia, all’estero se pensano all’Italia l’associano soprattutto alla Sicilia e al sud Italia. Nasce tutto dall’età giolittiana, e dopo cento anni questa barriera esiste ancora. Nel resto del mondo non sanno chi è Giolitti, non conoscono le problematiche interne e quindi il siciliano viene valorizzato. Il nostro compito adesso è eliminare i pregiudizi, tipo che i siciliani sono mafiosi oppure bigotti e incapaci. Va bene che la colpa è un po’ nostra, ma è anche degli altri che ce lo hanno fatto credere.

Da qui mi vorrei collegare a due barre: “amore per Milano ma se scendete a PA giochereste a FIFA” e poi “ni riunni vegnu se nun talii nta l’uocchi ti ricunu indegnu”.
Questa barra è un triple entendre, ha tre significati. Intanto invito quelli di Milano che si sentono gangster a scendere qua, perché giocherebbero a Fifa, che è un gioco ma io non parlo di quello, parlo della fifa, della paura. Ogni giorno qua senti di accoltellamenti ma non fa notizia, al nord magari quando succede diventa un caso e si pensa che sia sempre così. Ovviamente non è un diss a nessuno, ma molti si comportano come se certe situazioni esistessero solo là. Ma i veri gangster non parlano, ti ammazzano. Noi veniamo da una città dove c’è l’omertà, a Palermo non puoi dire alcune cose altrimenti ti bruciano il negozio. Quindi con questa barra volevo dire “figghiò, non fare il figo solo perché non posso parlare”. Noi non diciamo di essere gangster perché ci sarebbero brutte conseguenze, ma anche da loro dato che ultimamente c’è baccano, la differenza è che qua abbiamo i vecchi che insegnano e che spiegano che se parli male di una persona ti può finire male. A Milano è una cosa nuova, e nessuno li ha indirizzati. Qua invece per strada ci sono i vecchi che ti aiutano, a me dicevano “non stare con me, non sprecare la tua vita qui, vai a scrivere i testi, non sprecare la tua carriera musicale”.
Palermo è una città dove anche un brutto sguardo può costarti caro. Ma anche abbassare lo sguardo può essere un problema, gli altri capiscono che persona sei. Poi molti ci hanno visto un dissing a Guè perché dico “il business girava così, Guè Pequeno” ma è un riferimento a un pezzo che ha fatto che si chiama Business. È stato storpiato come se sfidassi qualcuno, anche per la frase su Shiva. Io mi ispiro a Big L, Lil Wayne, rapper che fanno delle punchline il loro cibo. Se qualcuno è sensibile alle mie rime cazzi loro, si stringessero i denti. Poi comunque ne ho citati tanti di rapper e non tutti hanno colto i riferimenti. Ogni barra ha un suo perché ed ecco perché ho messo tante immagini nel video, affinché le persone capissero. Magari ascoltandola più volte la gente capirà meglio la profondità delle rime, tipo quella di E-Green. Ogni ascolto offre un nuovo punto di vista. Ma d’altronde tante mie canzoni sono state capite e apprezzate con il tempo, ma anche per il discorso della white face, io l’ho fatta nel 2019-2020 e sono stato smerdato, l’hanno fatta Playboi Carti, Gunna ed è diventata moda, e là è stato bello perché ho pensato “io l’avevo detto”.

Tra l’altro la tua discografia è veramente varia, ampia, si vede che ascolti tantissima roba, anche questo è un fattore importante secondo me per fare buona musica. E poi a me fa sorridere quando ti chiamano emergente.
Io vivo con la musica, ne ascolto troppa. Quando mi chiedono “cosa sei?” non rispondo sono un rapper, io sono un artista, se rappassi solamente mi limiterei. Per il fattore emergente magari lo dicono perché faccio tot numeri, però in Sicilia sono rispettato, non mi chiamano emergente. La mia musica è arrivata ora al nord e pensano sia nato da poco, ma qua sono leggenda. Il brano “6 di mattina col Plug” qua è un inno, magari un giorno ci farò un remix. Quando sei underground e indipendente te lo devi aspettare che le persone faranno queste affermazioni, tra l’altro non capiscono che è l’industria a decidere chi mettere sul palco. Magari non senti un artista per tanti anni e loro pensano che ha floppato, e invece magari ha avuto una situazione contrattuale che gliel’ha messa nel culo e non ha più potuto rilasciare musica. Il pubblico italiano è molto credulone, facile da manipolare.
Io ho 22 anni ma ho iniziato quando ne avevo 15, facevo freestyle per strada. Ho fatto una gavetta assurda ma sono fiero perché è una strada diversa. Già io immagino un mio documentario, tipo film autobiografico.

E come lo chiameresti il tuo documentario?
Libero in tutto, easy. Sono felice, ed è bello poter dire di essere felice. Giro a Palermo e vedo le scritte “LIT”, una parola e un movimento che mi sta permettendo di essere quello che sono. È una cosa partita dal basso, poi è diventata una crew, ora qua tutti dicono “è LIT”, come un brand. Sotto sotto sapevo che LIT avrebbe girato, però non mi aspettavo così tanto, né che le persone se la tatuassero. Io ho una fan base molto forte, ed è un fattore importante, perché se hai i numeri ma non hai la fan base non vai da nessuna parte. Se io faccio 50mila views so che sono vere, non sono comprate. È qua che capisci che non vale la pena prendere scorciatoie.
LIT è quello che molti vorrebbero dire, ma non trovano le parole. L’acronimo libero in tutto è arrivato dopo, perché all’inizio nemmeno io riuscivo a esprimere il significato, però dentro di me lo conoscevo. La libertà c’è sempre stata, anche nei vecchi pezzi ne parlo spesso.

È qualcosa che va oltre. Io non so spiegarlo ma è un concetto che devi soprattutto sentire.
Magari sono stato bravo a dargli un senso che non c’è nel vocabolario, libertà può anche voler dire libertà vigilata. LIT invece è libero in tutto e per tutto. Io ad esempio ho molti fan gay che molti rapper non possono avere, la parola LIT li fa sentire al sicuro. Ed è bello quando le persone anche se non ti conoscono si fidano e capiscono che parlo anche per loro. LIT è un concetto che va contro il sistema, e il sistema non è che schiaccia solo i neri, ci sono i trans, i gay, le minoranze, i perdenti in generale. LIT è questo, e pensandoci era inevitabile questo successo. La gente vuole essere libera, specie chi fa parte delle nuove generazioni. LIT è uno stile di vita, una filosofia, una lezione di vita, alcuni pensano voglia dire sballarsi, altri pensano sia una cosa sociale, ognuno gli dà un significato ma alla fine l’elemento in comune è sempre la libertà, ma non voglio influenzare
le persone negativamente. Una volta un ragazzino qua a Palermo mi ha detto “voglio entrare nella LIT”, e io gli dicevo “nella LIT non si entra”, ma pur di avere il mio consenso lui ha ammazzato di botte uno che infastidiva mia sorella per dimostrarmi che lui è LIT. Ecco il potere può avere anche queste conseguenze, e io non voglio influenzare negativamente gli altri, il mio messaggio è sempre positivo, anche se per arrivare alle persone un po’ di rabbia la devi avere. Io come ispirazione ho il movimento delle Pantere Nere. In Italia stiamo affrontando situazioni che in America hanno già vissuto cinquant’anni fa, qua un politico nero fa scandalo e fa capire quanto l’Italia sia indietro. L’errore delle Pantere Nere è stato quello di essere troppo suprematisti, afrocentrizzati, però quando sei troppo pacifista sei un Martin Luther King e non va bene, ci deve essere un punto intermedio. Malcolm X era troppo violento, Martin Luther King troppo buono, entrambi sono stati uccisi. Io ho studiato tanto Malcolm X, Angela Davis, erano molto violenti, però serve anche la bontà di Martin Luther King o di Michael Jackson.
In Italia non c’è mai stato un leader come quelli citati, non c’è mai stato un nero con risonanza tranne Mario Balotelli che per noi neri di seconda generazione è un idolo, un Dio, però hai visto com’è stato trattato. Sono nato in uno dei Paesi più razzisti, e il razzismo che c’è qua fidati è più brutto di quello c’è negli USA. L’Italia è un Paese fascista, sì negli USA ci sono i poliziotti corrotti ma anche tanta altra gente che va contro il sistema, qua il razzismo è diverso, intanto perché non c’è una voce che parla. Molti vorrebbero predicare ma risultano saccenti e i bianchi si incazzano. Con la musica invece è più bello perché entri nel cervello in maniera diversa, lentamente. Come posso farti capire che non devi darmi del ne*ro? Ti dico che “manifesto libertà, libero in tutto, però cuscì non darmi del turco”, te lo dico in rima e magari l’altro ci arriva meglio al concetto. Se io incazzato gli dico “oh compà tu non devi darmi del turco” probabilmente ottengo l’effetto contrario. Quindi sto cercando di mischiare la rabbia di Malcolm X alla calma di Martin Luther King.

Intervista di Giordana Fichera.

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