Intervista a Grandi Numeri (Cor Veleno)

Lo spirito che suona è il sesto album ufficiale dei Cor Veleno, uno dei gruppi hip-hop romani più importanti in Italia, formato da Grandi Numeri, Primo Brown (rip) e Squarta (rispettivamente due rapper e un dj/producer).
L’album è uno dei dischi dei Cor Veleno con più featuring di sempre: da Adriano Viterbini a Danno, da Giuliano Sangiorgi (frontman dei Negramaro) a Madman, da Roy Paci a Marracash, che arricchiscono la canzone oltre alle strofe di Grandi Numeri e di Primo Brown (queste ultime pubblicate postume).
Dopo una settimana dalla sua uscita, l’album ha debuttato alla terza posizione in classifica Fimi per quanto riguarda i vinili, e in undicesima posizione tra i dischi.
Per l’occasione, noi di Rapadvisor abbiamo avuto il piacere di scambiare qualche parola al telefono con Grandi Numeri, per avere maggiori informazioni e scoprire delle curiosità sull’album e sul percorso musicale del gruppo.

 
Ciao Giorgio! Come sta andando il disco? Siete undicesimi in classifica Fimi per i dischi e terzi per i vinili. Soddisfazione e felicità, immagino.
Molto, parecchio. E’ una cosa stupenda, perché per come è andato il disco non ci aspettavamo di avere un riscontro di questo tipo: pensavamo che andasse bene su una scia di tante cose che sono successe prima e molto tempo fa, però non me lo aspettavo. Certo, il rap ha un alto tipo di riscontro ed è quello che abbiamo cercato di creare nel tempo: dare un po’ una smossa a quello che era il panorama musicale italiano.

Il disco l’ho acquistato e l’ho anche ascoltato tutto. La prima cosa che mi ha colpito quando ho aperto il packaging del disco è stata la foto di Primo (frame del video Ferragosto hate), con la frase: “mi fa mettere l’elmetto in questa saga e mi fa dire che è perfetto, cazzo, pure se non paga”. Che valore ha, per voi, questa frase a tal punto da metterla impressa all’apertura del packaging del disco?
Io sono contentissimo che hai notato questa cosa, perché sembra un dettaglio lasciato al caso, ma in realtà è un po’ tutta la filosofia del collettivo Cor Veleno e del disco. Noi abbiamo iniziato a fare musica tanti anni fa, quando eravamo ragazzini, senza avere nemmeno davanti il miraggio di poter stampare i dischi o andare a suonare su un palco. Abbiamo iniziato perché volevamo farlo, con incoscienza. Oggi non so se questo è un discorso fattibile, perché ovviamente, essendo sdoganato come genere, sia a livello internazionale, sia a livello locale, nazionale, chi inizia a fare rap già sa cosa vuole e cosa non vuole fare. Noi non sapevamo nemmeno di avere una prospettiva davanti, né di fare di video, né di stampare dischi, come ti dicevo prima, quindi è tutta una cosa che è venuta da sola, però è bello perché tutte le cose belle nella vita secondo me devono essere anche frutto dell’incoscienza.
C’è una frase vecchia di Ax che dice “il segreto del successo è non farlo di proposito”.
E’ vero, verissimo. Non è una cosa che è stata mai cercata. Poi negli anni la gente ha dato tutto l’affetto, tutto quello che aveva da dare, e questo ci ha portato ad essere sempre più rilevanti, ad aver fatto cose più grandi di quelle che ci saremmo mai sognati. Questi sono i colpi al cuore che ti fanno sentire vivo, che hai creato qualcosa dal nulla. C’era un gruppo di amici che voleva sfidare la sorte mettendo delle cose nuove in gioco, e ci è riuscito benissimo.
Sentendo tutto l’album, dall’inizio alla fine, ho notato un sound per niente vecchio, ma comunque molto legato al rap e all’hip-hop. Non ci sono suoni di tendenza legati al mondo della trap, però rimane un disco comunque molto fresco. Per quanto riguarda, invece, gli ospiti coinvolti, non ci sono ospiti per fare hype, ma solo amici e colleghi con cui avete più o meno sempre collaborato: Danno, Marra della Dogo Gang, con cui era stato realizzato un brano culto (Milano-Roma), tutti artisti con cui c’è sempre stato uno scambio reciproco di rispetto. Che cosa rappresentano per voi queste scelte, sia dal punto di vista delle sonorità, sia dal punto di vista dei featuring, e come pensate siano state recepite dal vostro pubblico?
Prima di tutto faccio un piccolo passo indietro: 808. Molti non sanno nemmeno che cosa sia, però come sound è quello che fa da sottofondo alla musica trap, quello che viene definito “rap di tendenza” oggi. Questo è sempre stato la colonna sonora del primo rap e come avviene spesso ciclicamente, nella musica alcuni suoni ritornano, come quando senti un rock più grezzo rispetto a quello patinato. Né più né meno la trap è forte e potente proprio perché attinge a queste sonorità che fanno da background all’hiphop storico. Questa è una piccola premessa, per dire che nel disco ci sono anche questi di elementi: anche l’autotune, che tanto viene demonizzato, è presente. Per noi è sempre stata una cosa semplice fare rap: quello che prendiamo e mettiamo nella musica, e arrangiamo anche con Squarta e Gabbo Centofanti, è frutto di un percorso nostro che compone il rap con cui siamo cresciuti, con quello che amiamo, che può essere Kendrick, A$ap Rocky, così come può essere tantissima altra roba. Non c’è il gusto di voler spegnere il flusso: io la musica la faccio e continuiamo a sentirla presente, viva. E’ un po’ come abbiamo sempre fatto con Primo. Per quello che riguarda, invece, il capitolo delle partecipazioni, ti faccio un esempio: abbiamo scoperto che i Bud Spencer Blues Explosion, il gruppo fondato da Adriano Viterbini insieme a Cesare, ritenevano noi, seppur venendo da tutto un altro percorso, come una band che li ha formati, e allo stesso modo noi ritenevamo noi un gruppo della madonna. Recentemente abbiamo scoperto che loro sono cresciuti ascoltando la musica nostra. Giuliano Sangiorgi allo stesso modo, conosceva i Cor Veleno prima che arrivasse al successo, prima del gruppo dei Negramaro. Già da un po’ di tempo c’era la voglia di fare qualcosa insieme: dovevamo realizzare solo la title-track (Lo spirito che suona), ed abbiamo realizzato assieme anche il primo singolo (Niente in cambio), di cui è anche uscito il video. Tutti gli altri rapper sono, tra gli altri, alcuni di quelli che amiamo. Ce ne sono ancora tantissimi altri che avrebbero potuto partecipare, ma non c’è stato tempo, perché il disco lo abbiamo dovuto chiudere, ma speriamo, in un futuro molto prossimo, di riuscire a collaborare assieme.
Ci fai alcuni nomi di artisti che avrebbero voluto collaborare al disco?
Non posso dirteli tutti. Posso farti i nomi di Nitro, tutta la Machete, ci sarebbero dovuti essere altri featuring, altri musicisti. La cosa che mi è piaciuto fare è raccogliere tutto quello che avevamo, metterlo nero su bianco, insieme a Squarta, e decidere di uscire. Capita che un artista sia impegnato col suo disco e sia impegnato, e debba aspettare dei mesi prima di realizzare un featuring: ognuno ha le sue esigenze. Ma a un certo punto, per quello che riguarda noi, si è trattato di dare una forma, definire i connotati al disco, e quindi abbiamo deciso di uscire, non aspettare ancora di fare un ennesimo altro featuring nel disco: va bene così, andava bene così per noi, e quindi abbiamo deciso di stoppare le macchine.

Quindi per i featuring rimasti fuori dal progetto, ci saranno altri progetti per il futuro?
Non saprei. Di canzone da fare ce n’erano tantissime. Molte canzoni che abbiamo registrato con Primo non sono sul disco, e non so se usciranno mai, però sarebbe bello riuscire a trovare il contesto giusto per pubblicarle. Allo stato attuale il disco ha una forza, secondo me, dirompente, per il fatto che racconta una storia dall’inizio alla fine, anche per come è stato realizzato. Il disco ha un inizio, un corpo, e una fine: inizia con un sound che ricorda un po’ le prime cose che abbiamo ascoltato e realizzato, fino ad arrivare alla fine del disco dove c’è una foto che è un po’ un ritratto di noi, quando abbiamo fatta nostra la musica, assieme a Danno dei Colle Der Fomento, con cui eravamo una stessa crew agli inizi. Nel mezzo, dunque, abbiamo voluto rappresentare cosa è la relazione dei Cor Veleno nella musica oggi nel 2018/quasi 2019. Abbiamo deciso che avere featuring, ma non fare solo un disco di featuring fosse la maniera più giusta.
Nel brano Il nome del tuo esercito c’è una tua frase che recita così: “state buoni che ora giro la clessidra sopra i tuoi milioni”. Per chi non lo sapesse, i Cor Veleno hanno anche avuto modo di pubblicare ben 2 album con la Sony, Nuovo nuovo (2007) e Buona pace (2010). Questo, però, non vi ha mai fatto cambiare direzione artistica: lo stile dei Cor Veleno è rimasto sempre riconoscibile, anche in quei due album realizzati in major. E’ stata, dunque, un’occasione per voi per dare più spazio alla musica e per farla arrivare a quanta più gente è possibile. Cosa vi ha spinto a non cambiare direzione artistica, come magari hanno fatto altri artisti, e cosa non vi ha fatto cambiare l’obbiettivo anche con l’ingresso in major?
Mi piace pensare che la musica sia un’estensione delle cose che si vivono e si provano tutti i giorni. Questo modo di vedere le cose è un po’ come chi conosce il mare e chi ha paura del mare. Io capisco e rispetto chi non ha voglia di avventurarsi, e di tentare: se non si conosce il mare si ha anche paura a lavorare a cose più grandi di te. Nel nostro caso abbiamo avuto la fortuna di lavorare in Sony con diverse persone, in primis Luca Fantacone, un noto talent scout della musica italiana, che ci ha reso tutto quanto facile, per quanto riguarda il portare la nostra musica così come era concepita all’epoca dentro una major, e riuscire a farlo nel modo in cui avevamo in mente, senza cambiare una virgola, senza di cercare di fare cose diverse dalle nostre, che non ci appartenessero. Per quello che ti dicevo prima, noi non abbiamo cambiato una virgola perché ci siamo fidati di quello che era il nostro punto di vista, anche fra noi: quando ti ritrovi in avventure nuove, è facile dare retta a chi cerca di darti direttive e consigli, tutte queste dinamiche sono comunissime, e fanno parte di tutti i generi musicali. Nel nostro caso, però, abbiamo cercato di credere in noi stessi, che poi secondo me è l’unica chiave possibile, musicalmente parlando e nella vita. Se penso a Mezzosangue, artista che ha scoperto Squarta, che già rappava, ma che non ha voluto cambiare quello che fa, se penso anche a Gemitaiz e Coez, anche loro presenti nell’album Lo spirito che suona, sono tutti musicisti che hanno un’idea di fondo della musica, al di là di quelli che sono gli stili e il sound che viene fuori. Ognuno di noi ha chiara questa cosa ed è una cosa che mi riempie d’orgoglio, perché comunque non è facile lavorare a un disco pensando anche di fare soltanto la musica: molta gente è schiava di algoritmi. Noi no, facciamo la musica perché vogliamo fare musica, perché è la nostra musica, e non ci importa niente delle direttive, se ci sono, da parte di un ufficio.
Sembra che siano tutti schiavi dalla mania di fare successo e di arrivare…
Più che altro fare i conti a tavolino, fare “i conti senza l’oste”. In un’era in cui la musica è veramente tutta pianificata, in cui un disco ha già tutto quanto prestabilito, credo che sia importante far venire fuori l’anima di quello che è un rapper, o di un beatmaker, perché è quello che la gente che ascolta e supporta la musica vuole, al di là di tutte le altre cazzate.
C’è una vecchia frase di Primo che fa così: “scassate per un disco 20 euro e 50, però c’avete sempre i soldi per la bamba, sul canale ci fanno tanti ascolti con la bamba”. Sono due frasi, se vogliamo, molto moderne. Tutt’oggi con l’arrivo dello streaming, con prezzi stracciati (con Spotify a 10 euro al mese puoi avere una libreria musicale illimitata, che prima non si poteva nemmeno lontanamente immaginare), si leggono sui social commenti di fan indignati che si lamentano per i prezzi della musica oggi. Primo qui cita la bamba, ma è un discorso che potrebbe essere esteso anche con altri esempi come i vestiti costosi, gli abiti firmati, la tecnologia all’avanguardia, che alla fine non ti lasciano niente. Cito un aneddoto di cui sono stato spettatore. Un paio di anni fa, in un negozio Feltrinelli, nel reparto dedicato alla musica hip-hop, una ragazzina si avvicina e prende in mano il cd di Caparezza Museica. Dopo qualche secondo, arriva il padre che le dice: “ti conviene veramente acquistare un disco a 15 euro? Non è meglio se te lo scarichi gratis?”. Lì per lì mi è scappato un sorriso, ma con il tempo ho pensato che questo debba far riflettere, perché spesso le persone non sanno del lavoro che ci sia dietro la realizzazione di un disco, e di conseguenza una persona anziché acquistare un disco preferisce scaricarlo illegalmente da siti pirata. Secondo te come è cambiato l’approccio nei confronti della musica da parte del pubblico dal 2010 ad oggi?
Non posso sapere la vita di ognuno: se uno può comprare un disco o non può comprare un disco. Ognuno ha le sue realtà. Come dicevi tu, c’è una vita anche da parte di chi fa la musica. Ovviamente, il padre della ragazza porta avanti il suo discorso, giustamente, ma non rappresenta la totalità di chi ama la musica, come la figlia. Magari fa parte della schiera di persone che recepisce la musica solo come un qualcosa in più. Certo, il padre quando magari scoprirà che la figlia fa le pompe per farsi fare una ricarica telefonica perché si scoccia di andare a lavorare, a quel punto non si può lamentare. Però chi ama la musica veramente si mette sempre dalla parte di chi ascolta e chi fa musica, e si rende conto di tutto questo. Di conseguenza, chi segue la musica rap da sempre, al di là delle generazioni che cambiano, sa dare il giusto peso a tutto questo, e la riprova sta nel fatto che negli ultimi anni specialmente la classifica generale della musica italiana è stata divorata dagli artisti che hanno qualcosa in più da dire, e di conseguenza non si limita più a musica da scaricare o da ascoltare con volume basso: è qualcosa che ti sta dentro.
Sempre in quella citazione a Primo, nella seconda parte della frase, “sul canale ci fanno tanti ascolti con la bamba”. Sembra quasi anticipare molti esempi di artisti, soprattutto nell’ultimo periodo, che arrivano a lanciare messaggi sbagliati ai giovani, esaltando la droga, o, se non esaltando, affrontando temi seri e complicati da affrontare in maniera troppo scontata. Di conseguenza sono messaggi o sbagliati o che potrebbero essere male interpretati dai giovani. Con questo però non si vuole far passare il messaggio che non si debba rappresentare un determinato spaccato di realtà e di vita: è scontato dire che se una persona ha vissuto in determinati contesti, è giusto che questa persona lo racconti in musica. Però ci sono forse troppi artisti che raccontano cose che magari non hanno mai veramente vissuto, e qua arrivano poi a lanciare messaggi sbagliati ai giovani. Cosa vorresti dire agli artisti che sponsorizzano questi messaggi e, ancora prima, a chi li ascolta?
Hai saltato un punto. Non sono né io, nemmeno Primo immagino, la persona più giusta e adatta a dare messaggi di questo tipo: ognuno fa le esperienze che ritiene più giuste, ognuno va nella merda e ne esce fuori, ci rimane, ognuno è in grado di capire che quello che fa è importante se fatto in un modo o in un altro, e se hanno voglia di raccontare delle storie, fanno bene a farlo. Quello che a me non piace, è, per un artista che racconta storie vere, vissute, che fanno rima con realtà dure e di emarginazione e sofferenza, come anche di estrema difficoltà, vedere che ci sono artisti che nemmeno lontanamente fanno parte di questo vissuto e che dopo due giorni di carriera si mettono a raccontare cose che non conoscono. Questo è un messaggio sbagliato. Il rap deve raccontare chi sei, non deve raccontare chi non sei, o chi vorresti essere, o come tu vorresti essere amato dalla gente imitando il tuo rapper preferito: il tuo rapper preferito magari viene da quelle realtà, il ragazzo che magari inizia a rappare farebbe meglio a lavorare molto di più su quello che è il suo vissuto personale e riuscire a portare quelle di storie in primo piano, piuttosto che imitare quelle che non gli appartengono. C’è una rima nel disco che è nel pezzo Rap tha casbah che dice: “bimbi-chini e crimini, minchia, sei circondato / sopra i passeggini che giocano a fare El Chapo”. E’ questa la sintesi, non vuole minimamente criticare chi racconta di storie di vita vissute, sennò allora non avrei letto determinati romanzi o ascoltato determinati rapper. Non ho la facoltà di dire ciò che è giusto e cosa è sbagliato: anche io ho fatto i miei sbagli nella vita, ma questo non significa che cerco di raccontare cose diverse dalle mie. Le cose che racconto, di tutti i tipi, del mio passato o del mio presente, sono nelle canzoni che ho fatto, idem con Primo. Non è importante raccontare la voglia di essere delinquenti o di essere borderline, perché quello appartiene al rapper autentico che lo fa, non al ragazzino che lo imita.
Nella seconda traccia del disco, Non costa niente feat. Bud Spencer Blues Explosion, c’è una strofa di Primo che attacca con una frase che personalmente mi è arrivata come una martellata sui denti: “stronzo tu sei morto, io no”, ripetuta dopo sole tre righe. Che effetto vi ha fatto risentire e rilavorare le voci di Primo e, in particolare, questa frase durante la lavorazione del disco e a disco finito?
Se non erro questa canzone dovrebbe essere stata la prima canzone del disco, ne sono quasi certo, la prima fatta dopo A pieno titolo. Risentire Primo è stato un effetto magico, perché comunque quando tu c’hai la “cazzimma”, quella viene fuori, e non c’è il punto in cui puoi scrivere la morte e dire che è finita. Questo sopravvive, nel tempo e nelle canzoni che vengono scritte e registrate. E Primo era uno dei rapper più prolifici che avevamo in Italia, una persona che ha vissuto poco, ma dando tantissimo alla musica, e quando abbiamo iniziato a registrare Lo spirito che suona c’era subito questa frase che è saltata fuori tra i vari pezzi, ed era, secondo noi, la più efficace tra quelle che potevano aprire il suo disco. Nel disco c’è un’intro in cui rappo io, e si può sentire la voce di un Primo giovanissimo; poi c’è Non costa niente che presenta la seconda strofa della canzone dove entra Primo e ci sembrava il modo più diretto per rappresentarlo, perché è sempre stato grezzo, diretto, vero e avanti rispetto a tutte le altre cose che abbiamo sentito. Ci sembrava giusto farlo iniziare così, perché chi non lo ha mai sentito Primo, non ha bisogno di farselo raccontare da chi l’ha ascoltato tempo fa o ha iniziato ad ascoltarlo tanto tempo fa: volevamo che anche gli ascoltatori nuovi, oltre quelli di vecchia data, capissero chi fossero i Cor Veleno e cosa rappresentasse Primo.

Come era Primo in studio?
Un animale! Come sul palco.
Una tigre?
Sì! Non a caso è stato sempre in grado di comunicare tutta la sua essenza nella sua musica, seppur in poco tempo. Pur rimpiangendo ogni giorno la sua mancanza, mi rendo conto che è riuscito a tradurre nella sua musica tutto quello che aveva da dire. Non ho mai avuto l’impressione che non abbia fatto in tempo a dire ciò che aveva dentro: non si è mai limitato, né risparmiato il tempo né in studio né sul palco.

Cos’è cambiato da quando Primo ci ha lasciato? Come avete anche affrontato la lavorazione del dico? Quando c’è stata la spinta giusta che vi ha fatto rendere conto che questo disco sarebbe dovuto veramente esistere per rendere omaggio a Primo?
Dopo qualche mese dalla sua scomparsa, insieme al padre abbiamo deciso di realizzare un evento a Roma, all’Atlantico, dove abbiamo ospitato moltissimi colleghi rapper che avremmo voluto anche nel disco. Quando abbiamo realizzato questo evento abbiamo visto il trasporto, l’amore della gente che aveva e voleva dare. Primo c’era ed era lì presente: era questo che arrivava dal pubblico. Questa magia è il fil rouge che unisce tutte le canzoni del disco, ed è scaturita forse quella sera: è stato il seme che in me, Squarta, Gabbo è iniziato a germogliare pensando, piano piano, all’eventualità di fare ancora una volta un disco come Cor Veleno. Il disco non è un disco di pezzi rimediati, o pezzi che raccontano un amarcord, è un disco dei Cor Veleno.
Da qui il titolo Lo spirito che suona?
Sì. E’ un disco vivo, è questo che volevamo trasmettere.
Venerdì 2 Novembre è uscito il video del nuovo singolo tratto dall’album, Niente in cambio, e colgo anche l’occasione per farvi i miei complimenti, perché è uno dei brani più belli del disco: la parte cantata di Giuliano si amalgama perfettamente con le vostre strofe. E’ un brano impeccabile. Ci racconti come è nato questo brano e come è nata la collaborazione con Giuliano?

Il brano è nato con un’idea molto specifica, anche prima che Giuliano lo registrasse avevamo idea di farlo uscire come singolo in prossimità dell’album. Sono uscite prima diverse canzoni, ma quella che volevamo rappresentasse veramente il debutto dell’album Lo spirito che suona sapevamo che sarebbe stata questa. Come ti dicevo prima, Giuliano è venuto a prendermi insieme a Francesco Stoia, de Le Mani, un’altra band rock storica che ora non esiste più, anche se lui ora collabora coi Tiromancino, e siamo andati in studio da Squarta, e abbiamo iniziato a vedere dalla titletrack come lavorare. Giuliano ha sentito il brano Lo spirito che suona e ha scritto dei versi in cinque minuti, forse anche meno. La cosa ci ha subito colpiti, perché era arrivato al cuore della canzone, e questo è stato un attimo: il tempo che siamo arrivati in studio, l’ha scritta, l’ha registrata, ed è stato proprio rapidissimo. Quando ha finito di registrare la titletrack ha chiesto di sentire altre canzoni del disco, e abbiamo aperto subito la traccia audio di Niente in cambio, e ha subito chiesto di lavorare anche lui a questa traccia. Gli abbiamo fatto sapere che sarebbe dovuto uscire come singolo, e lui ci ha risposto che avrebbe ugualmente voluto scrivere su questo brano: non voleva e non poteva fermare il flusso di parole. Se dovessi trovare un’immagine per questo brano, sarebbe come cercare di prendere il bersaglio da una lunghissima distanza, senza mai nemmeno aver provato prima. Giuliano non ha mai provato prima a fare una canzone del genere, e ha fatto centro, ha spaccato il cuore a tutti quanti. Secondo me è una canzone che viene al momento giusto come singolo, e oltre ad avere un video che racconta una storia che merita di essere vista e di essere stata raccontata dai ragazzi di Younuts!, Usbergo & Celaia, è una canzone con un featuring che avviene nel momento giusto nel rap italiano, senza nulla togliere agli altri featuring fatti con artisti della musica rock, pop e rap che avvengono in maniera frequente. E’ giusto che ci sia anche un rap che cerca di raccontare anche qualche cosa di più. Anche i tempi del brano sono un po’ più dilatati rispetto al minutaggio dei singoli canonici, ma come ti dicevo vogliamo badare allo spirito e non all’algoritmo.

Per quanto riguarda la lavorazione musicale, nonostante sia un disco rap c’è una grandissima lavorazione sotto quel punto di vista, ed è una cosa molto importante del rap. Nonostante ciò, non si trascura mai l’importanza del testo, contrariamente a ciò che, purtroppo, molti artisti rap oggi fanno. Né la musica passa in secondo piano rispetto al testo, né il testo passa in secondo piano rispetto alla musica. Come avete trovato il giusto equilibrio tra musica e testo durante tutta la durata dell’album?
Bella domanda! Questa veramente mi piace un sacco! Purtroppo questo aspetto nelle interviste non viene affrontato più di tanto. Nella musica come il rap, c’è tutto quello che volevamo dire. Spesso capita di riconoscere dei punti di vuoto nei dischi riascoltandoli, in cui avresti voluto e potuto dire qualcosa d’altro o qualcosa in più rispetto a quello che effettivamente hai scritto. Lo spirito che suona non so dirti se è un disco bello o un disco perfetto, ma dico che è un disco unico, perché è quello che volevamo fare: i dischi belli li fanno gli artisti patinati. Quello che ti posso dire è che noi Cor Veleno siamo sempre stati tre, Grandi, Primo e Squarta. Squarta nelle produzioni, sia da solo che con il suo team, così come anche con Gabbo, è riuscito a far venire fuori anche il suo desiderio di raccontare il disco: lui non era soltanto il produttore del disco a tutti gli effetti, ma voleva raccontare la sua parte, e dunque anche con la musica ha dato anche il suo contributo. Anche altri dischi sono stati realizzati così: lui ha sempre cercato di far emergere il suo profilo da beatmaker ma anche da musicista. Ecco perché non c’è mai un disequilibrio tra musica e testo.
Secondo voi come è cambiato l’approccio dei rapper nei confronti del genere dagli anni ’90 ad oggi, e come avete visto l’evoluzione del genere in Italia?
Non parlo per me, ma di sicuro si è persa molta innocenza, cioè nell’approccio di fare musica. Noi abbiamo cercato di fare musica sempre con uno spirito di rivalsa e con amore nei confronti di quello che facciamo, senza fregarcene di arrivare primi in classifica o arrivare a questo o a quello sponsor. Chi lo fa, fa bene, si crea un proprio personale percorso. Però negli anni tutti noi musicisti, posso dire, che abbiamo dato precedenza al nostro modo di pensare, non al modo di pensare degli altri, ed è questo l’aspetto meno pratico che ci contraddistingueva prima. Adesso gli artisti sono molto più pratici, e fanno molti calcoli, ma questo lo fanno un po’ tutti. Gli ultimi anni sono anni veramente fatti da algoritmi o da schemi molto pratici. Ognuno, poi alla fine, ha il suo modo di affrontare la vita e la musica.
Come vedete tra una decina di anni il rap italiano?
Secondo me cambierà in meglio ulteriormente, e già è cambiato in meglio. Un tempo erano pochi gli artisti e i dischi che riuscivano ad emergere si contavano sulle dita di una mano. Oggi abbiamo tantissimi artisti che fanno sentire la loro musica. Credo che ci sia un momento, da qui a dieci anni, in cui verranno fuori molti artisti che avranno un modo totalmente nuovo di raccontarsi, per questo lo vedo ancora meglio di oggi, perché per me lo stato attuale è ancora molto meglio di 10/15 anni fa.
Alla fine abbiamo visto l’emergere di artisti che, dai e dai, sono arrivati a farsi sentire anche oltreoceano.
Eccerto! Questa è una cosa che non era minimamente pensabile, ed è frutto sicuramente anche di un’attitudine diversa verso la musica. Quando io parlo di musicisti non parlo dei big, ma di tutti quelli che si approcciano alla musica, e quindi anche di un ragazzo che ha appena iniziato a fare rap. Se invece parliamo dei big che fanno musica col gusto di ieri, col gusto di oggi o col gusto del dopodomani, comunque arrivato a un certo livello lo fa con una consapevolezza e uno spirito che lo porta a fare anche una cosa impensabile.
In varie interviste, sia voi, sia artisti molto vicini a Primo, uno su tutti Canesecco, avete sempre affermato tutti che fosse sempre alla ricerca costante di nuovi artisti, nuovi talenti, nuove leve da spingere e supportare. Secondo voi, se Primo fosse ancora vivo, come vedrebbe questa evoluzione del rap?
Secondo me Primo sarebbe riconosciuto come artefice di tutto questo, perché sia col gruppo che da solo, che sia nei dischi ufficiali, nei mixtape o nelle collaborazioni e partecipazioni che ha fatto, ha comunque rotto gli schemi, e ha avuto un sacco di soddisfazione nel vedere questa musica sulla bocca di tutti, e nei piani alti di questa classifica. Sapevamo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, ed è stato il motivo per cui abbiamo iniziato e continuato a fare musica con spirito.
Secondo te quali artisti avrebbe in cuffia?
Non te lo saprei dire: sicuramente, penso, molti della nuova scuola di Milano, penso a Capo Plaza, penso a Machete, penso a Salmo, come Coez, Gemitaiz, che sono comunque tutti nati e cresciuti con la nostra musica. Il fatto di sapere che sono cresciuti con la nostra musica è la riprova di ciò che ti stavo dicendo: hanno fatto un percorso anche grazie al fatto di avere avuto determinati input, hanno trovato la loro chiave per raccontare e raccontarsi, anche perché vedi che sono tutti rapper diametralmente opposti, che non c’entrano l’un l’altro come stile, ed è stato anche lo spirito della serata dove è nato tutto come ti dicevo, all’Atlantico. Lì eravamo tutti, di tutti i generi di rap.ù

Domande di chiusura. Come porterete il disco in giro per l’Italia? Come sarà strutturato lo show? Se si può spoilerare qualcosa ovviamente…
Fermo restando che non voglio fare spoiler su quello che sarà il live, ma posso dirti che sarà inedito il modo di fare musica, per la musica italiana e per quello che è il nostro modo di fare musica, ma ti posso anticipare che saremo nella formazione storica al completo, quindi da questo già si può intuire molto. Soprattutto ci saranno tantissimi ospiti che sono presenti anche nel disco, che hanno dato il loro contributo, e vogliono darlo anche live.
Dove potranno vedere tutte le date i fan?
Dal canale @corveleno_official. Le date inizieranno da fine anno / inizio anno prossimo.
Progetti per il futuro?
Per adesso c’è il live, la voglia di portare Lo spirito che suona sul palco e nel cuore delle persone che vengono ad assistere allo show.
Napoli ha chiamato, Roma ha risposto forte e chiaro, per citare anche il brano. Ti lascio facendoti anche un grandissimo in bocca al lupo sia per il disco che per il tour!
Grazie e crepi il lupo! E io ti rigiro gli auguri, sperando che questa intervista sia andata come te l’eri proposta, e facendoti i miei auguri per il lavoro!
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