Intervista a Fudasca: Lo-Fi Spaghetti Made in Italy

Il Lo-fi è il genere dell’imperfezione, della mancanza di regole, della sregolatezza ordinata. Uno degli esponenti principali di queste sonorità è Fudasca, artista italiano che ha conquistato il mondo spaziando dal jazz all’hip hop con un fil rouge dal suono analogico. Dopo aver collaborato con grandi nomi internazionali come Powfu, Snow, Jay B, ha appena rilasciato “Lentiggini”: un singolo in cui, accompagnato dalle liriche nostalgiche di Alfa e Tredici Pietro, riprende quel mood romantico tipico della dolce vita italiana agli occhi del mondo. Abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere con lui per poter approfondire l’evoluzione che sta avendo questo genere e la sua espansione sempre maggiore nella musica italiana.

Ciao Simone! Ad oggi sei uno degli esponenti principali del Lo-fi nel mondo, da dov’è nata la passione verso la produzione e verso questo genere in particolare?
“Ho cominciato ad approcciarmi al mondo della produzione musicale grazie all’Edm come un po’ tutti quelli della mia età negli anni di David Guetta, in quegli anni in cui abbiamo iniziato a conoscere la figura del produttore e ne sono rimasto affascinato. Col tempo poi ho cambiato genere sopratutto perché nell’Edm va seguita una struttura fin troppo precisa: ci deve essere un’intro, una parte melodica, il build up, il drop. Ho trovato “pace” nel Lo-fi, un genere più tranquillo, libero da strutture funzionanti ma soprattutto derivante dal Jazz. Io parto principalmente da un’armonia Jazz anche perché è la base da cui nasce il Lo-fi: un tempo iniziavo con la chitarra, ora mi piace più il piano ma va a periodi. Butto giù qualche accordo, magari riprendendo qualche progressione standard come il 2-5-1, e poi ci costruisco sopra il pezzo.”

Lo sviluppo del Lo-fi nel mondo è andato pari passo con quello dei grandi nomi internazionali con cui hai spesso collaborato, com’è nato il vostro rapporto?
“La maggior parte degli artisti con cui collaboro li ho conosciuti tramite “the bootleg boy”, un canale su YouTube che ai tempi era appena partito e ad oggi conta più di quattro milioni di iscritti ed è uno dei principali esponenti del Lo-fi nel mondo. Gli mandai una produzione mia dove addirittura cantavo in inglese e decidemmo di pubblicarlo. Lì ho conosciuto tutti gli altri artisti, tra cui Kina, Powfu, Rxseboy, e Snow che, come me, erano tutti agli inizi: abbiamo cominciato a inviare demo per poi ritrovarci su un canale discord in cui “the bootleg boy” inseriva sempre ragazzi nuovi spronandoci a produrre musica insieme.”

La maggior parte delle tue collaborazioni, data l’internazionalità, sono stati lavori a distanza. Visto anche il periodo che stiamo vivendo, quali sono i vantaggi di lavorare in questo modo?
“Ti dirò la verità, ho sempre collaborato con artisti internazionali a distanza fin dagli inizi e ciò per me è sempre stato normale. È un approccio diverso in cui si perde dell’immediatezza del consiglio ma si guadagna una visione più generale della collaborazione: io ti invio il beat, tu le vocals e “ci incontriamo per la strada”. Lavorando così inoltre non si può rivedere il pezzo milioni di volte e, nonostante sia una lama a doppio taglio, l’ho sempre trovata come una cosa positiva in modo tale che i pezzi arrivino subito al sodo e siano più spontanei: avendo meno occasioni di ritoccare il proprio lavoro si fa più attenzione fin dall’inizio.”

Uno degli ultimi nomi internazionali con cui hai collaborato è l’artista k-pop Def, com’è nata “Is it a dream”?
“A dicembre 2020 ho pubblicato il mio primo album “I’m a mess and I make music” e una traccia di quest’album, “what a nice day to run away” con Resident, Jomie e Snow, andò virale in Corea ma non me ne accorsi subito perchè lì usano altre piattaforme (Spotify è arrivato solo qualche mese fa). Conoscevo già Def perchè mi piace ascoltare il k-pop e a lui piacque molto il pezzo. Mi scrisse il primo gennaio alle sei del mattino: iniziammo a parlare ma inizialmente fu difficile comunicare dato che non conoscevo bene la lingua. “

Com’è stato approcciarsi ad una cultura musicale diversa da quella occidentale?
 “In realtà non ho vissuto la differenza culturale come un ostacolo. Jay B (il nome coreano di Def, ndr.) ha molti progetti tra cui quello di Def in cui, nonostante si senta la lontananza dalla musica nostrana, si spinge su sonorità più R&b e, proprio perché si sentiva che “un occidentale era entrato in Corea”, decise di collaborare con me e andare oltre. Nel lavorare con artisti internazionali la principale differenza che ho notato è che c’è meno burocrazia, non si perde tempo a pensare se una cosa possa funzionare o meno: nella prima chiamata che ho avuto con lui mi ha detto “Let’s do good shit”, non voleva altro se non fare musica. In Italia è tutto più macchinoso, io pensavo a come far uscire il pezzo mentre lui ha avuto un approccio molto più diretto.

Nell’ultimo periodo alcuni pezzi hip-hop italiani presentano contaminazioni Lo-fi, pensi che questa possa essere una meteora o che possa affermarsi anche qui?
“Non credo che questa sia una semplice meteora perché, e aggiungo purtroppo, in Italia spesso si riflette quello che funziona all’estero e sarà solo questione di tempo. Io, ad esempio, sto finalmente lavorando ad un progetto con soli artisti italiani e, dopo qualche difficolta d’inizio, oggi è uscito il primo estratto (“Lentiggini”, ndr.).
Ti racconto un aneddoto su “Futuro” degli Psicologi: nasceva da un beat estremamente Lo-fi e, infatti, se fai attenzione nella chitarra iniziale si sente l’arpeggio originale da cui poi partiva la vecchia produzione. Sono anni che propongo questo genere e, nonostante piaccia a tutti, c’è sempre la paura che poi non funzioni, che non vada in radio o che non sia apprezzato a pieno. Fortunatamente qualcuno sta iniziando a capire le sue potenzialità, forse perché è diventato un po’ più pop, complice il nostro lavoro con “the bootleg boy”. Già ai tempi fu molto figo lavorare al remix con Massimo Pericolo e spero che questo singolo riesca a dare uno scossone all’ambiente italiano in questa direzione.”

A proposito del tuo ultimo singolo “Lentiggini” in collaborazione con Alfa e Tredici Pietro, da dove nasce il pezzo e perché hai scelto di inaugurare il progetto con loro?
“Ero stato in studio con Pietro già qualche settimana prima per lavorare ad un altro pezzo, poi appena tornato a Roma ho cominciato a parlare con Alfa. Io conoscevo la sua musica e a lui era piaciuto molto il mood del mio pezzo con Powfu, Snow e Rxseboy, così mi mandò quello che poi sarebbe diventato il ritornello del singolo chiedendomi di metterci mano e lì ho capito che sarebbe stato il pezzo giusto per provare le sonorità Lo-fi che volevo cominciare a portare in Italia. Per la seconda strofa ho pensato subito a Pietro perché avevamo già lavorato insieme, ci eravamo trovati molto bene e penso che lui sia uno dei pochi ad avere il flow giusto per il genere. Ho chiesto a entrambi cosa ne pensassero e così è nato il pezzo: veniamo da tre mondi diversi ma è stato bello prendere una direzione comune. Alfa conosceva già il genere e sapeva quali corde toccare per essere nel mood giusto mentre Pietro sapevo avesse l’attitude giusta per entrare in questo mondo, e così è stato.”

Le sonorità di “Lentiggini” hanno molti rimandi al folklore italiano, il progetto che hai in preparazione seguirà questa via?
“Ho sempre cercato di fare una musica “culturale”. Mi piace sempre lavorare a qualcosa di specifico in base alla cultura a cui mi approccio; ad esempio il pezzo che andò virale in Corea funzionò perché pieno di citazioni sonore orientali. Un giorno girando per dei borghi ebbi l’idea di riportare la “Dolce Vita” di Mastroianni e Sordi, ciò che, nonostante stereotipata, ha reso nota l’Italia all’estero. Ho cercato di riprendere questo concetto per strutturarci l’album e quale genere migliore se non il Lo-fi poteva incanalare questa attitude.”

Intervista di Alberto Rogano.

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Tags: fudasca

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