Blanco è un diamante grezzo

Diciotto anni, Blanco ha solo diciotto anni. Eppure, nonostante la giovane età, ha appena pubblicato il suo primo disco ufficiale “Blue Celeste”, vanta un contratto con Universal, dodici dischi di platino, collaborazioni con artisti del calibro di Mace, Sfera Ebbasta e Madame, più di duecento milioni di ascolti e oltre quattro milioni e mezzo di ascoltatori mensili su Spotify. Ma ripeto, Blanco ha solo diciotto anni.

A quell’età Marracash scriveva sotto lo pseudonimo “Juza delle Nuvole”, ben undici anni prima dal suo primo album ufficiale, Guè Pequeno iniziava a scrivere le prime strofe con il compagno di classe Dargen D’Amico, Emis Killa vinceva il contest di freestyle “Tecniche Perfette” firmando il suo primo contratto discografico con Blocco Recordz: erano lontani dalle vette delle classifiche, lontani da quella severa e asfissiante critica che oggi un emergente deve affrontare. È vero si, erano altri tempi, tempi in cui l’hip hop ancora non dominava le charts italiane.

L’impatto che hanno avuto il rap e le influenze d’oltreoceano sulla nostra musica negli ultimi anni è stato incredibile ma, tra le conseguenze negative, non si può negare che vi è stata un’inevitabile omogeneizzazione tendente alla ricerca della stella, dell’astro nascente che riuscisse a riportare una ventata d’aria fresca alla scena. Mentre prima servivano almeno tre dischi prima di poter inquadrare un artista e tutte le sue sfaccettature, ad oggi basta poco affinchè un diamante grezzo venga gettato tra la grafite e sembra siano stati abbastanza i 33 minuti e 35 secondi e le dodici tracce di “Blu Celeste” per segnare il destino di Blanco.

L’urgenza di esprimersi e la necessità di “urlare” quelle emozioni e quei ricordi che lo tenevano “ancorato al fondale” sono alla base di “Blu Celeste”, sono il passato da cui Blanco sta nuotando via rimanendo “a peso morto nel mare”.

Una delle peculiarità del disco è la versatilità stilistica che rende quasi impossibile trovargli una collocazione tra le etichette già esistenti. Forse è proprio questo il bello: non riuscire a inscatolarlo in un genere. “Blu celeste” è emo nella voce rotta di “Mezz’ora di Sole”, è pop punk nella follia di “Notti in bianco”, è aggressivo e dritto come la cassa in “Figli di Puttana”, è soul nelle linee vocali, urban nelle metriche sregolate, post rap nelle liriche oniriche e sognatrici: “Blu celeste” è Blanco. Nonostante l’eterogeneità stilistica vi è un fil rouge che collega tutto il disco: Michelangelo, il produttore che fin dagli inizi ha curato il progetto dell’artista bresciano riuscendo a imprimergli un’identità sonora marcata e “mettergli le ali” verso le vette delle classifiche.

L’album si pone come un racconto dai contorni romantici in cui, ad eccezione della title track dove si ricorda nostalgicamente una perdita, Blanco alterna un amore crudo e carnale ad uno sensibile e malinconico, esorcizzandone quel lato tossico e nocivo, causa di svariate “notti in bianco”.

Una delle critiche che più son state mosse al disco è legata a una lirica spesso troppo leggera e spensierata, troppo adolescenziale. Beh si, è vero, ma l’album nasce dall’esigenza di un ragazzo di esprimere le emozioni che solo un primo amore giovanile può dare. Inoltre, la sensibilità e delicatezza mostrate sono solo due delle caratteristiche di una “penna promessa” capace di far emozionare l’Arena di Verona intera sulle dolci note di “Blu Celeste”. E ci tengo a ripetere, Blanco ha solo diciotto anni: non gli si può chiedere una maturità lirica che solo il tempo potrà dargli.

Nonostante la breve carriera, Blanchito vanta già svariate collaborazioni pluri certificate che hanno sicuramente contribuito alla sua ascesa ma nel disco si è coraggiosamente mosso controcorrente decidendo di lasciare la sua voce come unica attrice protagonista. Spesso gli artisti emergenti scelgono di arricchire la tracklist con nomi importanti in modo da aumentare l’hype e gli ascolti mentre Blanco ha ritenuto “Blu Celeste” troppo intimo, troppo personale per avere altre comparse.

Tirando le somme, Blanco sarà il nuovo volto della musica italiana o una semplice stella cadente? È troppo presto per dirlo: non sono bastati quei 33 minuti e 35 secondi per deciderlo. Ha avuto un ottimo impatto nella scena, ha saputo rompere gli schemi e i record, ha dimostrato di essere una buona penna, di saper far emozionare ma “Blu Celeste” è solamente il suo primo album, la prima faccia di una medaglia nascosta che solo il tempo saprà svelarci. D’altronde ripeto, Blanco ha solo diciotto anni.

Articolo di Alberto Rogano.

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